Articolo scritto per Italia Che Cambia
Agli inizi dell’800 il giurista e filosofo illuminista Jeremy Bentham ideò una corrente etica che sarebbe passata alla storia con il nome di utilitarismo. Al centro della sua dottrina stava il concetto del cosiddetto “calcolo felicifico”. In pratica, sosteneva l’inglese, prima di decidere di compiere qualsiasi azione bisogna porsi una semplice domanda: quello che sto per fare renderà le persone più o meno felici? La domanda è semplice in effetti, ma la risposta lo è molto meno: come si fa infatti a calcolare matematicamente la felicità? Chi deve prendere la decisione, sulla base di quale criteri, e come può fare questi conti in maniera precisa?
Due secoli più tardi, a risolvere questo problema ha deciso di provare un suo giovane collega e connazionale: Michael Plant, ricercatore in Filosofia dell’Università di Oxford con un’esperienza passata anche al parlamento britannico, che per studiare questi temi cinque anni fa ha fondato un istituto di ricerca di cui è anche direttore, l’Happier Lives Institute. «Le nostre ricerche combinano due idee piuttosto semplici», spiega ai microfoni di Italia che cambia. «Primo: che la felicità è una cosa seria, dobbiamo capire che è importante e cercare di misurarla. Secondo: che personalmente dobbiamo fare la maggior quantità di bene possibile nelle nostre vite. A quanto ne so, nessuno ha mai pensato di mettere insieme questi due concetti».