Teniamoci informati, ma non lasciamoci travolgere da un flusso incessante di notizie sul coronavirus, che genera in noi soltanto stress e paura
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso in questi giorni un breve documento, che ho ripreso sulla mia pagina Facebook, intitolato “Gestire lo stress durante l’epidemia di coronavirus”. Nella sua traduzione italiana, si legge che “è normale sentirsi tristi, stressati, confusi, spaventati e arrabbiati” in questo periodo di crisi, ma anche che esistono una serie di modi semplici per alleviare queste emozioni negative.
Tra gli utili consigli, ad esempio, figurano “parlare con persone di cui ti fidi”, mantenere “uno stile di vita salutare in termini di alimentazione, sonno, esercizio fisico e relazioni sociali”, “non gestire le emozioni fumando, bevendo alcolici o facendo uso di altre sostanze”.
Informazione non significa ossessione
Ma i due aspetti che hanno attirato maggiormente la mia attenzione sono quelli che l’Oms scrive in fondo a questa lista: da una parte invita i cittadini a mantenersi informati (“Raccogli le informazioni necessarie per determinare con precisione il tuo eventuale livello di rischio e prendi le precauzioni necessarie”), dall’altra ad evitare di preoccuparsi di agitarsi eccessivamente “limitando il tempo passato a guardare o ad ascoltare notiziari che ti turbano”.
A prima vista, sembrerebbero due indicazioni contraddittorie: prima si consiglia di informarci, poi di non guardare troppi notiziari. Eppure la contraddizione è solo apparente. C’è una bella differenza, infatti, tra informarsi e lasciarsi inondare dal flusso incessante e continuo di notizie che ci raggiungono ogni giorno grazie alle ultime tecnologie.
Che sia in corso un’epidemia di coronavirus è un’informazione ormai in possesso di qualsiasi persona, per quanto disattenta o distratta possa essere. Ma quante volte dobbiamo leggere e rileggere gli ultimi dettagli, farci raccontare l’ennesimo aggiornamento, lasciarci bombardare dalle previsioni allarmate per la salute e l’economia?
La responsabilità dei media… e la nostra
Viviamo in un mondo in cui la quantità d’informazioni prodotte è tale da rischiare potenzialmente e continuamente di travolgerci. Oltretutto, la stragrande maggioranza di queste informazioni proviene da fonti mediatiche che non prendono sul serio la loro responsabilità di raccontare la verità ai loro lettori o ascoltatori, ma che sono mossi dall’unico interesse di accumulare più copie vendute, più clic, più audience, e quindi di vendere più pubblicità.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: paura, rabbia, stress, caos, terrore, paranoia, panico. Se dunque chi fa informazione, in moltissimi casi, non si assume la propria responsabilità, spetta a noi che la fruiamo assumerci la nostra: quella di non lasciar inquinare la nostra vita e il nostro corpo da questo fiume infetto di emozioni tossiche. E quella di non indurre i media a produrre sempre più notizie sensazionalistiche, obiettivo che possiamo raggiungere semplicemente smettendo di consumarle con questa avidità.
Perché preoccuparsi è inutile
Di stress e di preoccupazione ne viviamo già a sufficienza e non è affatto utile né sano aumentarne ulteriormente la portata. Non solo perché questi stati emotivi influiscono in maniera pesantemente negativa sulla qualità della nostra esistenza, ma perché drenano energie che potremmo invece investire produttivamente nella ricerca creativa delle nostre soluzioni con cui affrontare questa fase critica.
La psicosi ci induce a porre più attenzione sulle cose che non ci piacciono, da cui fuggire, contro cui lottare, rispetto a quelle che invece ci piacciono, che vogliamo abbracciare, verso le quali puntiamo. Ma questo sforzo di resistenza, in realtà, non fa altro che aggiungere energia al problema, non certo alla soluzione. Credo che tutti quanti, almeno una volta, abbiamo sperimentato quanto sentirci arrabbiati o impauriti ci privi della lucidità necessaria per cercare una via d’uscita, e rischi addirittura di privarci del nostro potere.
Non è un caso se chi comanda questa società ha tutto l’interesse soggettivo a diffondere paura nella popolazione, perché una collettività spaventata è molto più facile da controllare. La nostra responsabilità, come esseri umani, persone, ma anche cittadini di una nazione, dunque, è quella di rompere queste catene di timori che ci tengono bloccati, e di allenarci a ragionare, ad analizzare la situazione e a prendere decisioni con la nostra personale saggezza.
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