Una cultura che non allena l’antifragilità e che non coltiva le proprie risorse non è attrezzata a far fronte alla pandemia (e alle altre emergenze)
Ogni problema che incontriamo nella nostra vita ci pone idealmente di fronte ad un bivio. Da una parte c’è la possibilità di fuggire intimoriti, di fare tutto ciò che è in nostro potere per evitare l’ostacolo e cercare la strada più facile. Dall’altra, quella di affrontare la sfida facendo appello alle doti di cui siamo consapevoli di disporre, con entusiasmo, come uno stimolo alla nostra crescita e al miglioramento personale.
È l’ennesima variante dell’eterna scelta tra paura e fiducia, a cui noi tutti siamo chiamati ogni giorno della nostra vita, sia individualmente che collettivamente. Il problema è che il contesto occidentale è orientato in prevalenza proprio sulla cultura della paura. Fin da piccoli la famiglia e la scuola ci educano a scansare le difficoltà, a cercare il percorso di minor resistenza, l’indirizzo di studi più richiesto dal mercato, il settore in cui si trova più facilmente lavoro (e pazienza se non è quello che ci rende felici).
Il contagio della paura
Da grandi, poi, basta accendere la televisione, cliccare su un sito web, aprire un giornale per venire letteralmente inondati di parole e immagini spaventose e terrorizzanti, a maggior ragione in periodi come questo che evocano recessioni economiche e catastrofi sanitarie. Non si può certo immaginare che questo atteggiamento sia casuale: le brutte notizie attirano maggiormente l’attenzione del nostro cervello razionale, quindi fanno vendere più copie e portano più lettori. Per non parlare del fatto che un popolo impaurito è sicuramente più facile da tenere sotto controllo, per chi detiene il potere.
Purtroppo, però, il pesante effetto collaterale che deriva da questa costruzione sociale è il fatto che siamo ben poco abituati a scoprire, allenare e mettere in pratica i nostri punti di forza, sia come singoli che come collettività. Ovvero, quelli che ci potrebbero permettere non soltanto di affrontare le crisi e di superarle con successo, ma addirittura di ritrovarci più forti, più saggi e più grandi di prima, proprio in virtù del fatto che siamo riusciti a sconfiggere un’avversità.
Allenare l’antifragilità
Tecnicamente, questo si definisce un esercizio di antifragilità: attraversare una tempesta e uscirne non solo indenni, ma rafforzati. Anche in questo caso, sono le stesse esperienze di vita di ciascuno di noi a rivelarci come proprio i momenti più difficili e dolorosi sono quelli che, sul lungo periodo, ci insegnano le lezioni più preziose per il nostro sviluppo. A patto che riusciamo a fronteggiarli facendo appello alle nostre potenzialità migliori.
La società occidentale, come detto, raramente dà prova di essere antifragile. Di fronte alle grandi calamità, dai terremoti alle inondazioni, i nostri leader pretendono di riuscire a controllare l’evento esterno, invece di predisporsi nel migliore dei modi a farvi fronte. Anche nel caso della pandemia del coronavirus, questo paradigma non è cambiato: legioni di medici, virologi, biologi hanno tentato di anticipare l’andamento dei contagi, task force di economisti e analisti stanno producendo un’ipotesi dopo l’altra sulle prossime linee di tendenza del mercato.
Prevenire è meglio che prevedere
Peccato che, come scopriamo con il senno di poi, questi tentativi si dimostrino del tutto vani. Nessuno dei presunti esperti è riuscito realmente a vaticinare l’arrivo del Covid-19, tanto quanto tutti i pronostici contenuti nelle relazioni tecniche del governo sulla sua diffusione hanno clamorosamente sbagliato in pieno. Sotto questo aspetto, l’umanità dovrebbe soltanto imparare a mettersi il cuore in pace: prevedere il futuro, che ci si provi a livello esoterico o scientifico, resta comunque, da sempre, soltanto una pia illusione.
La soluzione migliore sarebbe invece quella di prevenire, ovvero di prepararsi ai probabili avvenimenti sfavorevoli che ci aspettano, coltivando le proprie risorse che ci permetteranno, se e quando si verificheranno, di confrontarci con essi. Esattamente il contrario di quello che hanno fatto negli ultimi decenni la maggior parte degli Stati (e l’Italia non fa certo eccezione, anzi), intervenendo con la mannaia sui fondi alla sanità pubblica e prediligendo invece quella privata.
La fuga di fronte all’ostacolo
Come spesso capita in questi casi, ci siamo accorti di quanto scellerata fosse questa opera di contro-prevenzione solo quando è stato troppo tardi. E a quel punto ai nostri leader, che non avevano più in mano un potenziale sufficiente per rispondere all’emergenza, non è rimasto che reagire automaticamente e meccanicamente, con la dinamica umana più antica del mondo di fronte al pericolo: la fuga. Rintaniamoci tutti nelle nostre case in quarantena, in attesa che la buriana passi.
Ancora una volta, il paradigma è quello di evitare l’ostacolo, invece di affrontare la sfida. E pazienza se rimanendo a casa, sommersi da notizie terrificanti, i cittadini tendono a mangiare di più e peggio, a fare meno esercizio fisico, ad esporsi di meno alla luce del sole, ad aumentare il loro stress e la loro paura. Tutte azioni che non fanno altro che sopprimere quelle difese immunitarie di cui si avrebbe invece tanto bisogno, in tempi di pandemia (a proposito di prevenzione, vero?).
Il caso anomalo della Grecia
Eppure, come al solito, persino nel bel mezzo di una circostanza così drammatica, se le vogliamo cercare, troviamo delle buone notizie. Ad esempio, quella che arriva dalla Grecia: uno dei Paesi europei meno colpiti dal coronavirus, che ad oggi registra meno di duemila casi confermati e meno di cento morti. Numeri sorprendenti, specialmente se si considera che la penisola ellenica non è dotata affatto di maggiori mezzi di prevenzione sanitaria rispetto alle altre nazioni. Al contrario: disponeva di appena 560 posti di terapia intensiva all’inizio della pandemia.
Che uno Stato già falcidiato da anni di sanguinosa crisi economica abbia dimostrato capacità migliori rispetto ai suoi “cugini ricchi” nell’affrontare la diffusione del contagio sembra un fatto controintuitivo. Eppure, secondo gli osservatori locali, proprio l’antifragilità sviluppata dal governo e dalla popolazione greca nell’arco delle loro prolungate avversità è la risorsa che le ha permesso di esprimere le sue migliori potenzialità in questa nuova emergenza.
Ce la faremo. Anche stavolta
“Forse ha aiutato il fatto che la Grecia è in uno stato di crisi costante dal 2010”, ha commentato George Pagoulatos, economista politico e direttore della Fondazione greca per la politica europea ed estera, ai microfoni della televisione Al Jazeera. “Una società che ha subito un periodo di difficoltà così lungo sa quando i sacrifici personali sono necessari o inevitabili”. E questa è indubbiamente una buona notizia. Perché rivela anche a noi, appunto, che dopo aver attraversato questo periodo nero, i prossimi non dovranno più farci così paura.
Del resto, il genere umano ha vissuto e superato già decine e decine di calamità, disastri, guerre, epidemie, distruzioni, crolli economici nel corso della sua storia. Eppure è sempre sopravvissuto e ha continuato a prosperare su questo pianeta. Se non disponessimo di sufficienti risorse, ci saremmo già estinti ormai da molti millenni. Forse è giunto finalmente il momento di imparare questa lezione.
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