Articolo scritto per Italia Che Cambia
Fino a un paio di mesi fa, a leggere i resoconti dei giornali e dei siti d’informazione, moltissima gente si era fatta l’idea che Chiara Ferragni fosse un’imprenditrice di successo, la creatrice di un brand divenuto punto di riferimento internazionale nel suo settore, una specie di ibrido tra Donatella Versace e Steve Jobs.
Poi, all’improvviso, dal 15 dicembre scorso la narrazione – lo storytelling, direbbe lei – è cambiata drasticamente di segno: dopo l’inchiesta dell’Antitrust sull’ormai famigerato caso del pandoro si è iniziata a raccontare l’influencer come una mezza truffatrice assetata di denaro, che non si faceva troppi scrupoli ad arraffare finanche i soldi che sarebbero dovuti andare in beneficenza.
Ieri invece, quando ho assistito alla sua attesissima intervista a Che tempo che fa, la Ferragni mi è sembrata semplicemente una ragazzina impaurita per l’interrogazione, una studentessa che per l’ansia si era preparata a lungo, studiando a memoria una lezione che non vedeva l’ora di sciorinare di fronte al professor Fabio Fazio.