In molti pensano che la felicità sia fatta di attimi e dunque non possa durare a lungo. Ma forse lo credono semplicemente perché non sanno davvero cosa sia
“La felicità non può durare a lungo, è fatta solo di istanti, di attimi”. Questa è una delle frasi che mi capita spesso di sentire, quando parlo del mio lavoro di “allenatore di felicità”. Ed è una di quelle che mi colpiscono di più, specialmente quando viene pronunciata con assoluta decisione, come se si trattasse di una sentenza senza appello.
Ogniqualvolta avverto una così radicata sicurezza sulla sua inevitabile fugacità, non posso fare a meno di provare un profondo dispiacere. Perché chi afferma questo non sta soltanto manifestando una sua convinzione limitante, un paradigma disfunzionale che riguarda il modo stesso di vivere la vita. Addirittura, si sta implicitamente arrendendo. Sta accettando, sostanzialmente, di vivere infelice la maggior parte della sua vita, accontentandosi di qualche volatile momento di gioia.
Per quanto mi riguarda, non solo per ragioni professionali, ma per profondo convincimento personale, io credo invece l’esatto contrario. Si può essere felici, e si può esserlo per tutta la vita. A patto che si comprenda bene la definizione, ovverosia che cosa intendiamo veramente quando ci riferiamo alla felicità.
Naturalmente non esiste una ricetta univoca: ognuno la concepisce in modo personale e diverso dagli altri. Esiste però una serie di errate credenze che sono molto diffuse, e che portano moltissime persone a fraintendere completamente il concetto di felicità. Ecco, forse, perché in così tanti credono che sia un obiettivo così irraggiungibile: perché si rivolgono ad un’idea del tutto virtuale, inesistente. Perché puntano la loro freccia verso un bersaglio completamente illusorio e quindi sbagliano mira.
Proverò dunque a chiarire alcuni degli equivoci che ho riscontrato essere più comuni, ma anche più dannosi, perché ci allontanano dall’autentica concezione di felicità.
1. La felicità non è un punto d’arrivo, ma di partenza
La maggior parte delle persone è convinta che sarà finalmente felice soltanto quando raggiungerà un particolare traguardo. Così facendo si sacrificano e vivono male nel presente, in nome di un presunto riconoscimento che riceveranno nel futuro. Salvo poi, quando lo conquistano effettivamente, provare una profonda delusione. “Tutto qui?”, gli viene da chiedersi. E subito ripartono all’inseguimento di un altro sfuggente traguardo. Questa sì che è una soddisfazione poco duratura, che inizia a sfumare nel momento stesso in cui pensiamo di aver vinto.
In realtà, è vero l’esatto contrario. Non bisogna ottenere i propri obiettivi per essere felici, ma bisogna essere felici per raggiungere i propri obiettivi. La felicità è un prerequisito, non una conseguenza. Ciò non toglie, naturalmente, che per realizzare ciò che desideriamo nella nostra vita ci voglia grande fatica e grande impegno. Ma se non siamo già felici, non quando giungiamo all’arrivo della nostra corsa, ma mentre percorriamo ogni singolo passo, allora vuol dire che non abbiamo scelto la strada giusta per noi stessi.
In altre parole, dobbiamo cercare quelle attività che ci soddisfano quando le svolgiamo, non solamente quando ne osserviamo gli esiti finali. È in questo modo che riusciremo ad essere talmente motivati ed efficaci nella nostra azione da poter scalare vette straordinarie, che ci sembravano impossibili e inarrivabili.
2. La felicità non è un prodotto, ma un processo
Anche in questo caso, se pensate che la felicità sia il premio che ci attende al termine di un’impresa, siete totalmente fuori strada. La felicità non è un risultato che sarà nostro, una volta per tutte, ad un certo punto della nostra vita. Piuttosto, è duratura proprio perché è un processo di costruzione, continuo e incessante.
E la costruzione della felicità non è altro che la costruzione di noi stessi. Potremmo addirittura sostenere che la felicità equivale alla crescita. La felicità è perenne divenire: imparare di più, svilupparsi di più, creare di più, progredire di più, dare di più, amare di più, essere di più, diventare di più. E non è quando diventeremo qualcuno che saremo felici, ma mentre lo diventiamo.
La buona notizia è che il nostro margine di crescita è illimitato, per cui ogni giorno possiamo essere felici, compiendo il nostro piccolo passo di sviluppo quotidiano. Il giorno in cui smettiamo di crescere, d’altra parte, non è solo quello in cui smettiamo di essere felici, ma anche quello in cui iniziamo a morire.
3. La felicità la costruisci, non la ricevi in dono
Partendo da questi presupposti, dunque, discende inevitabilmente anche un’altra certezza: la felicità è il frutto di una nostra costruzione consapevole, a tratti anche faticosa, impegnativa e complicata. Bisogna guadagnarsela, giorno dopo giorno, lavorando su noi stessi. E, se molte persone non ci riescono, è perché si arrendono o perché non sono disposte a pagarne il prezzo, e quindi si accontentano (più o meno consciamente) di vivere una vita infelice.
Non è sicuramente un dono che ci piove dal cielo, o peggio per un colpo di fortuna. Addirittura, dipende solo in minima parte dagli avvenimenti, da quello che ci succede. Secondo le ricerche della professoressa Sonja Lyubomirsky, docente di Psicologia all’università della California, appena il 10% della nostra felicità è riconducibile alle circostanze esterne, mentre il 40% dipende dalle nostre azioni e dai nostri pensieri (il restante 50% è il risultato di complessi, e per lo più ancora inesplorati, fattori biologici e genetici).
4. La felicità non è assenza di problemi
Questo ci fa capire che, se per essere felici stiamo aspettando il momento in cui la nostra vita sarà totalmente priva di problemi, questa nostra attesa è destinata a durare all’infinito. In ogni momento della nostra esistenza ci sarà qualcosa che non va, ma anche tante cose che funzionano. E la buona notizia è che l’effetto negativo provocato dalle batoste o dai colpi bassi che riceviamo è altrettanto volatile quanto lo la soddisfazione prodotta dal raggiungimento dei nostri traguardi.
La felicità, piuttosto, è figlia di un atteggiamento, di un modo di vivere e di rapportarsi nei confronti degli eventi quotidiani. Se volete, è la vecchia metafora del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Le persone più felici non sono quelle che non hanno mai incontrato difficoltà o non hanno mai subìto sconfitte (anche perché non ne conosco nemmeno una a cui sia andato sempre tutto per il verso giusto). Semmai, sono quelle che hanno saputo trasformare le crisi in occasioni, le situazioni avverse in lezioni, gli ostacoli in elementi delle proprie strategie d’azione.
Pensate a quelle persone che, dopo l’amputazione di un braccio o di una gamba, si abbattono, si deprimono, si lasciano andare, smettono di vivere una vita piena e attiva. E, al contrario, a quelle che trovano la forza di reinventarsi come atleti paralimpici, da Bebe Vio ad Alex Zanardi. Due categorie di esseri umani sottoposti alle medesime avversità: ma quale delle due pensate che sia più felice?
5. La felicità non è gioia eterna
Lo stesso discorso può valere anche per i sentimenti. Essere felici non significa vivere in uno stato di gioia perenne e ininterrotta: così come esisteranno sempre i problemi, esisteranno sempre anche le emozioni negative, dalla tristezza alla rabbia, dall’ansia alla paura. Ma se normalmente le definiamo negative è soltanto perché sono spiacevoli e ci provocano malessere, non perché siano inutili o peggio ostili alla nostra felicità.
Al contrario, i momenti di maggior disagio e di maggior dolore della nostra vita sono anche quelli in cui siamo costretti a metterci in discussione e a cercare dentro di noi risorse insospettabili e soluzioni creative; sono quelli dai quali impariamo le lezioni più importanti, sono quelli in cui cresciamo di più. Dunque, in questo senso, rappresentano un contributo fattivo alla nostra felicità, proprio perché ci fanno crescere.
È forse proprio questa la sfida più complicata che ci si pone davanti nella costruzione della nostra felicità. Riuscire a trovare un significato, ad accogliere, ad accettare, e dunque ad essere contenti e grati, non solo dei momenti belli che abbiamo vissuto nella nostra esistenza, ma anche di quelli brutti. Perché sono quelli che ci hanno fatto diventare più forti, più grandi, più saggi. E quindi più felici.
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