In una fase di dolore e difficoltà collettiva come quella del coronavirus dobbiamo riscoprire il modo più efficace e produttivo di reagire
Gli ostacoli, le difficoltà, le delusioni, le sconfitte, i fallimenti, le batoste che la vita ci riserva fanno parte dell’esperienza di tutti noi, nessuno escluso. Possono essere collettive, come quella che stiamo passando in questi giorni, sotto i colpi dell’esplosione dell’epidemia di coronavirus, oppure individuali. Possono essere grandi, oppure piccole, ma non per questo meno dolorose.
“Perché proprio a me”
A ciascuna di esse, però, esistono soltanto due modi di reagire, anzi, due fasi di una stessa reazione. La prima è quella negativa: arrabbiarsi, deprimersi, recriminare, chiedersi “perché è successo proprio a me?” oppure “perché è successo proprio ora?”. Beninteso, si tratta di emozioni perfettamente comprensibili, addirittura umane.
Il problema è che una reazione di questo tipo ci fa precipitare in una spirale sempre più profonda, in un pozzo senza fondo di inutile autocommiserazione e vittimismo. Ci drena tutta la nostra energia, non lasciandocene più a disposizione per studiare la situazione, cercare una via d’uscita, imparare la lezione.
Da vittima a vincente
La seconda fase è quella in cui mettiamo in moto la nostra trascendenza. Quella in cui, cioè, prendiamo atto delle circostanze, del fatto che ormai fanno parte della nostra vita e che non possiamo fare più nulla per modificarle. Sono semplicemente un dato di fatto, reale e oggettivo. Ma questo non significa che non possiamo tornare a vivere: e, per riuscirci, non potendo cambiare la realtà, dobbiamo agire sul nostro atteggiamento nei confronti della realtà.
Dobbiamo trovare quel significato profondo che è certamente nascosto nel momento che stiamo attraversando. Dobbiamo acquisire quella forza mentale ed emotiva che può essere costruita solo grazie alle ferite. Dobbiamo saper modificare i nostri piani, integrare nelle nostre nuove strategie la situazione che l’esistenza ci ha proposto, con tutto il dolore e il disappunto che ha portato con sé, e rivolgerla comunque nella direzione dei nostri obiettivi, della nostra missione, della nostra vocazione.
Ovvero, dobbiamo fare in modo che ciò che ci è capitato diventi un elemento che giochi a nostro favore, invece che contro di noi. Naturalmente questo compito non è per niente semplice: richiede impegno, fatica, determinazione, perseveranza, apertura mentale, creatività. Ma la buona notizia è che è possibile, sempre e comunque. Prima decideremo di liberarci dalla mentalità delle vittime, prima inizieremo la nostra redenzione. E ci riscopriremo addirittura più grandi, più forti, più saggi di prima.
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